Di Lorenzo Montanaro 09/08/2024
All’inizio sono sempre un po’ disorientati: si muovono titubanti, con una strana circospezione, nei miei spazi così ben congegnati. Soprattutto rimangono sorpresi a sentire parole tanto diverse da quelle terrestri. Certo, di pazienza ce ne vuole parecchia. Bisogna partire dell’abbiccì. Cime, suvvia, non “corde”, cime! Poi, un po’ alla volta, prendendoli per mano, inizio a insegnare l’arte della precisione: scotte, drizze, amantigli. E avanti così, senza fretta, con tutti i termini, sempre impeccabili, che mi riguardano: le draglie, il pozzetto, la battagliola, i gavoni e il loro contenuto sempre un po’ misterioso, il tambuccio, gli osteriggi delle cabine a poppa e a prua, che vanno ora aperti ora richiusi.
Se sento errori? Ovvio che ne sento. E inesattezze tante quante le bollicine in un buon calice di Champagne. Ma io non sono permalosa, né troppo puntigliosa. Anzi, mi diverto e sorrido. Già, perché, in effetti, proprio in questo sta il mio compito, il mio gusto di esistere: far assaggiare il mare a chi finora non l’aveva mai incontrato. O almeno, non così, non abitandolo “da dentro”.
E, mi crediate o no, sono sempre un po’ emozionata quando arriva, finalmente, il mattino presto in cui partiamo. Mi sciolgono gli ormeggi di poppa, mi liberano dalle trappe. E un momento dopo è già mare, mare aperto.
Ho a bordo equipaggi improbabili, gente diversa quanto a provenienza ed età, eppure, per effetto di una misteriosa alchimia, capace di intendersi a istinto. Ho uomini e donne che conoscono il mare e sanno bene il valore di un tempo regalato. Persone rare e preziose, che riconosci da uno sguardo. Poi ci sono altri che di mare sanno poco, eppure hanno lo stupore tra i capelli e un cuore in viaggio. Partiamo, tutti assieme. Ed è bellissimo. Ventimiglia, Mentone, Cap Ferrat e poi l’ampia baia di Nizza, distesa al sole. C’è chi si affaccenda in mille lavori, tra gli strumenti di bordo e la macchina del caffè, chi, invece, si abbandona e si lascia cullare dal rollio.
Poi, un pomeriggio, d’improvviso, prendiamo di bolina un vento magico e letteralmente voliamo sul mare. Randa e fiocco si distendono come fossero aquiloni. Io mi inclino fin quasi a lambire le onde con la murata e tutti vanno a sedersi sopra vento, mentre io li tengo sospesi sul palmo della mia mano aperta. Siamo più veloci di ogni pensiero, di ogni incertezza o malinconia. Ci sono solo aria, mare, e la nostra carena che vola, in un istante di puro e perfetto presente.
Altre volte, invece, regalo momenti di grande calma. Mentre siamo in rada, all’ancora, nel canale tra le isole di Lérins, ci lasciamo sfiorare dal più ammaliante dei tramonti mediterranei. Euforici, i miei ospiti si tuffano in acqua, ridendo. Poi, risaliti a bordo, giocano ai marinai. “Sai fare una gassa d’amante? E un nodo parlato?”.
A tarda sera, attorno a un limoncello, ascolto voci d’ogni sorta: poesie delicate e un istante dopo barzellette da osteria del porto, risate a crepapelle e racconti di vita vissuta e confidenze a bassa voce e storie di fatiche e rinascite. Tutto ascolto, tutto raccolgo e custodisco, senza mai giudicare. Sono diventata brava. Sarà che in un tempo lontano, ma mai del tutto dimenticato, ho raccolto grida senza fine, grida di disperazione di gente che più nulla aveva da perdere. E poi io stessa sono rinata e ho trovato il mio personalissimo modo di trasformare la disperazione in un inno alla vita. Così ora so, per esperienza, che ogni ferita può trasformarsi in una feritoia da cui entra la luce e che dietro a ogni fragilità si nasconde un’occasione.
La mattina leviamo gli ormeggi in uno specchio di mare sempre diverso. E il tempo ha un sapore inconsueto. I giorni a volte sembrano ore, a volte settimane. Lérins, La Napoule, Nizza, Villefranche sur Mer. Ci sono isolette da scoprire, itinerari in cui perdersi e ritrovarsi, vento da ascoltare col viso e prove al timone sotto gli occhi vigili di un bravo comandante, finché arriva il momento di approdare da dove eravamo partiti. E abbracciarci forte.
C’è chi ha scoperto un mondo e forse non potrà più resistere troppo tempo lontano da me. C’è chi tornerà ancora e ancora ad abitarmi, magari in altri viaggi e con altri equipaggi. Per qualcun altro invece resterà un’unica volta. Ma in fondo non c’è differenza, perché con ciascuno ho fatto il mio dovere. Non importa In quali mari e per quali venti li sospingerà la vita. Ora loro sanno di essere, come me, delle barche a vela. E che nessuna barca a vela è fatta per rimanere in porto.
Fidelia